Cosa sarà dei ristoranti stellati? Un dubbio si insinua dopo le ultime chiusure

Anche in Italia, dove si contano quest’anno in Guida Michelin ben 385 ristoranti stellati, si è aperto il dibattito sul futuro di un settore che rappresenta solo lo 0,2% dei ristoranti presenti sul territorio nazionale. Fatturano appena 327 milioni di euro annui ma qualcosa sembra mettere in discussione la “formula”. Lo dice, senza finzioni, il tristellato Nobert Niederkofler che “aveva” il suo St. Hubertus a San Cassiano e che lo ha chiuso per ristrutturarlo e riaprirlo con una formula diversa. Non è il solo. Anche Filippo La Mantia ha chiuso il suo ristorante al Mercato Centrale di Milano. Nel mirino i costi alti di mantenimento, i turni di lavoro che non sono più giudicati sopportabili dal Personale di cucina e di sala che così “scappa” via.


di francesco de rosa


A Copenaghen solo pochi mesi fa René Redzepi ha annunciato la chiusura del suo Noma, acronimo di Nordic Mad (che significa “cibo” in danese). Nel 2021 ha ottenuto il titolo di miglior ristorante al mondo. Anche René Redzepi ha detto che non può più sostenere i costi troppo alti di gestione. Il tema, dalla Danimarca all’Italia, dalla Francia al Giappone è uguale per tutti. Ovvero per tutti quei ristoranti dove poterci mangiare costa più caro che altrove. Ristoranti stellati che paradossalmente sono in crisi per le troppe spese, per la mancanza di personale e per il lavoro che diventa non etico se a subire sono quei ragazzi sottoposti a stage gratuiti e a turni massacranti. Il conto è presto fatto anche in Italia. I ristoranti stellati quest’anno, edizione 2022 della Guida Michelin che fotografa il 2023, ci sono in Italia ben 385 ristoranti stellati. Un numero che pone il nostro paese al terzo posto nel mondo solo dopo Francia e Giappone che di stellati ne hanno poco di più. Eppure, a fare i conti essi sono una piccolissima porzione del mondo enograstronomico italiano. Rappresentano solo lo 0,2% e fatturano appena 327 milioni di euro annui totali nonostante i menù a prezzi esclusivi, ogni forma di ricercatezza e folte brigate chiamate a dare il massimo.

René Redzepi del Noma di Copenaghen

Lo chef tristellato Nobert Niederkofler

Costi troppo alti

La chiusura del Noma di Copenaghen e cioè del locale più premiato al mondo che “aveva” persino una lista da 400 dollari più altri 230 di vini ed era diretto dallo chef René Redzepi che ad un certo punto, comunicando la chiusura tra non poco clamore, ha motivato così la sua decisione: «L’alta cucina non è più sostenibile, economicamente ed emotivamente. E lavorare gratis non è più eticamente accettabile». Aveva con sé, dentro l’alveo della sua cucina stellata fino ad una trentina di giovani stagisti che, in cambio di un’esperienza molto ambita da apporre sul proprio curriculum, arrivavano ad accettare orari di lavoro con turni di 16 ore al giorno per sei giorni su sette alla settimana. Un fardello non corrisposto da alcuno stipendio se non un rimborso spese di 200 euro al mese. «È impossibile trovare l’equilibrio fra costi alti e livello di ristorazione sperimentale gourmet», ha motivato René Redzepi e così ha deciso di prendersi una pausa durante la quale anche lui scoverà nuove formule da dare al suo ristorante che tuttavia non si sa ancora quando riaprirà e se ancora sarà un ristorante considerato il caso del pure noto El Bulli di Ferran Adrià che chiuse per riaprire il prossimo giugno. Sarà un archivio/museo a pagamento su quella stessa Costa Brava dove si era collocato raccogliendo centinaia di soddisfazioni. In Francia la chef Claire Vallé ha deciso di mollare dopo appena un anno chiudendo il suo Ona, primo ristorante vegano al mondo a conquistare una stella Michelin. «Mancano le persone, è arrivato il momento di rimetterle al centro del progetto imprenditoriale e concettuale di ristorazione» aveva commentato la sua chiusura Claire Vallé.

Non lontano dal confine francese ha chiuso per ristrutturazione l’albergo Rosa Alpina di San Cassiano che ha ospitato per anni il St. Hubertus di Norbert Niederkofler che così ha commentato. «Non si tratta di un addio. Questo progetto era in cantiere da mesi. Appoggio completamente la scelta di rivedere il concetto alla base della struttura e della cucina e, in quest’ottica, metto a disposizione la mia esperienza. Con la proprietà non abbiamo ancora definito quale concetto affrontare per una possibile riapertura, da parte mia posso garantire che farò tutto il possibile per confermare le tre stelle Michelin».

il Personale del Noma di Copenaghen

Personale pagato poco

Da pochi giorni, e cioè dal 1 marzo, lo chef siciliano Filippo La Mantia ha seguito la stessa scia al fine di una «riorganizzazione temporanea». Non nasconde La Mantia il problema dell’assenza di personale: «La brigata è passata da 15 a 7 persone, non possiamo chiudere ogni servizio in affanno. Non so quanto starò chiuso e non so cosa farò dopo, forse sono un nostalgico ma ho in mente un’altra idea di come si fa questo mestiere e non devo pretendere che sia uguale per gli altri. Insomma, mi devo riallineare con questi tempi, devo capire dove stiamo andando. Tutti parlano di un’evoluzione della ristorazione, ma secondo me stiamo assistendo a un’involuzione. Questo settore sta vivendo una crisi impressionante: c’è una fame di personale cronica». Il tema accomuna molti luoghi della ristorazione stellata come evidenzia anche Federalberghi che porta i numeri del 2022 anno in cui hanno perso il lavoro ben 300 mila lavoratori del settore. Se negli anni scorsi la croce sembrava essere anche il “reddito di cittadinanza” che garantiva anche ai giovani usciti dalle scuole alberghiere un guadagno di base e sicuro, in questi ultimi mesi il focus torna nel modo di reclutamento di quei giovani, tra i quali molti pieni di talenti, a cui il mondo stellato garantisce rimborsi da fame e orari incredibili facendo venire meno entusiasmo e abnegazione come ben nota lo chef, volto noto della tv, Alessandro Borghese: «I ragazzi? Preferiscono – dice Borghesetenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici. E quando decidono di provarci, lo fanno con l’arroganza di chi si sente arrivato. Sarò impopolare, ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con vitto e alloggio riconosciuti. Stop. Mi andava bene così: l’opportunità valeva lo stipendi».

A rispondere per le rime ci sono coloro che lo sfruttamento lo hanno subito: camerieri e cuochi soprattutto che si dicono indisponibili ad ogni altro ulteriore sfruttamento. Non più paghe ridicole né orari disumani. La ricerca più approfondita di chi osserva il fenomeno degli stellati dice che l’assegnazione di una stella porta un aumento di fatturato del 50% dopo un anno, per la seconda e la terza gli incrementi sono meno significativi: rispettivamente +18,7% per chi passa da una a due e +25,6% per chi ottiene la terza stella. ma risultati di tal genere che a prima vista sembrerebbero lusinghieri in realtà non dicono il resto: che ogni stella che arriva porta con sé costi sono molto elevati, un maggior stress, la necessità di avere più personale qualificato, un rapporto di un dipendente per ogni cliente, un aumento degli affitti quando il business si fa più ghiotto per i titolari degli immobili. Non da ultimi, dopo la grande batosta del covid 19, l’aumento dei costi energetici e quelli delle materie prima che in congiunture come quelle attuali legate alla guerra in Ucraina messa in piedi dalla “ricca” Russia ha determinato uno scenario di precarietà. In mezzo a cambiamenti che toccano molti settori, di costume, di assetto geopolitico, di nuovi concetti di lavoro e soprattutto di sostenibilità, il mondo stellato è chiamato ad sua riorganizzazione che in molti casi prevede chiusure improvvise o, quando va meglio, a ridimensionamenti di fatto.

Alessandro Borghese

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