Il più famoso è certamente a Controne, in quello stesso Cilento dove anche ai legumi la natura dona sfumature di gusto che si sentono al palato. Il fagiolo di Controne è noto nel mondo ed è tra i presidi storici di Slow Food. Lì dove, da qualche giorno, c’è anche il fagiolo della regina di Gorga. La leggenda vuole che la regina di Napoli, Maria Carolina d’Asburgo, ne andasse ghiotta. Fuor di leggende, Gorga è una frazione del Comune di Stio, pieno Cilento, in armonia con il territrio naturale d’intorno (come noterete nelle riprese dal drone). Qui Slow Food ha reso noto un nuovo Presidio, quello appunto del fagiolo di Gorga.
L’idea è quella di dare, come spesso accade, anche un’occasione di crescita economica locale che attraverso un prodotto autoctono di presidio può trovare nuovi volani di sviluppo.
Più nel dettaglio, troviamo tutti i meriti di una scelta che ha voluto esaltare un antico ecotipo locale di fagiolo che si è ridotto nel tempo ad una diffusione estremamente limitata, caratterizzato da un alto valore proteico, sapore dolce ed elevata digeribilità. Il fagiolo della regina di Gorga è un antica varietà di fagiolo rampicante, di forma ovoidale, bianco, dalla cuticola particolarmente sottile. Viene tradizionalmente coltivato nella frazione di Gorga, alle sorgenti del fiume Alento. Una pianta che può crescere fino a 3 metri di altezza rendendo necessario l’uso di sostegni (o reti e pali o pertiche) per sostenere le piante. E sono questi fattori, nonché la una notevole necessità di acqua che essa vuole, a rendere questa coltura particolarmente dispendiosa.
La semina avviene dalla seconda metà di giugno alla prima settimana di luglio, la raccolta, previo essiccamento sulla pianta, tra ottobre e novembre. Entrambe le operazioni vengono fatte rigorosamente a mano. Dopo la raccolta si procede alla selezione, scartando eventuali fagioli danneggiati dall’umidità o baccelli ibridati con altre varietà coltivate nella zona. Un lungo lavoro che aggiunge ulteriore valore a un fagiolo unico per storia e sapore.
Così se la leggenda ci fa viaggiare indietro nel tempo fino all’epoca borbonica in un viaggio comunque affascinante, i rivolti del presente portano buoni frutti. È stata – come raaconta Slow Food in un comunicato ufficiale – la voglia di un gruppo di produttori, di tre ragazzi e un insegnante in pensione, affinché non scomparisse una coltura che non è un vezzo, ma una vera risorsa. Il senso di far nascere un Presidio Slow Food sta proprio in questo: da un lato salvaguardare i frutti della terra, dall’altro riconoscere l’impegno della popolazione locale e sostenerlo per favorire un cambiamento ambientale, sociale ed economico. Un legume per far rinascere la microeconomia locale. A Gorga, oggi, ci abitano meno di cento persone. È in questa piccola frazione, e nel vicino territorio dei Comuni di Stio, Magliano Vetere, Campora, Orria e Gioi, che è rinato questo particolare ecotipo: «Quando abbiamo cominciato sette anni fa il fagiolo veniva coltivato soltanto da qualche anziana signora di Stio, ma a livello commerciale era morto» racconta Andrea De Leo, referente dei produttori del Presidio. «Abbiamo cominciato a produrne un po’ di più e a partecipare ad alcuni mercati, come Leguminosa, l’evento organizzato da Slow Food Campania a Napoli, riuscendo a creare una microeconomia che vede coinvolte le poche aziende agricole del territorio e anche le signore e i giovani che lo coltivano nei loro orti».
«In ogni paesino di questa zona tutti gli abitanti avevano un pezzetto di terra da coltivare per il proprio sostentamento» aggiunge Nerio Baratta, fiduciario della Condotta Slow Food Gelbison di Vallo della Lucania, in quest’area del Cilento. Tra le coltivazioni più diffuse, insieme alle castagne, c’era proprio quella dei fagioli: la scarsa deperibilità e la possibilità di seccarli, infatti, li rendevano un vero e proprio bene rifugio, ideali sia da scambiare sia da immagazzinare per sopravvivere ai lunghi inverni montani. «Tra gli anni ‘50 e ‘70 il legume era molto conosciuto, ho trovato più di un libro di ricette che citano esplicitamente il fagiolo di Gorga» continua De Leo. Ma nei decenni successivi, un po’ per lo spopolamento della zona e un po’ per la gran quantità di lavoro necessario per coltivarlo e raccoglierlo, il fagiolo regina è finito nel dimenticatoio. Riprendere la produzione di fagioli regina, prosegue De Leo, ha due risvolti. Il primo riguarda naturalmente il prodotto: «Vogliamo scongiurare la scomparsa di una particolarità locale – spiega il referente – Da noi, negli ultimi anni, si è coltivato quasi esclusivamente solo il fagiolo borlotto, perciò abbiamo impiegato sette anni per ripulire il seme. Sul lato umano, invece, la ripartenza ha dato orgoglio al paese e rinnovato il desiderio di continuare a coltivare la terra». In altre parole: creare indotto produttivo, costruire piccole aziende. è ciò che potrebbe accadere già a partire dai prossimi mesi a Gorga. Intanto il disciplinare di produzione prevede che la selezione e la riproduzione delle sementi sia fatta dai coltivatori stessi e vieta la coltura in serra o fuori suolo, l’uso di prodotti chimici di sintesi per fertilizzazione e per la difesa. Ma questo lo sanno bene a Gorga e dintorni tanto da accettare una sfida che si può con tenacia portare a buon fine.