Se il futuro del cibo, anche per l’alta enogastronomia, è nelle mani dei contadini o, invece, delle multinazionali è un quesito corrente che interroga gli chef stellati, i clienti, i buongustai e persino chi si occupa, come noi, di scrivere e raccontare l’alta cucina italiana. In fondo ciascuno deve alimentarsi e per questo fare scelte tra prodotti, stili di vita, modi di essere. E se poi “noi siamo ciò che mangiamo” il tema è ancora più delicato. Al centro del dibattito che coinvolge davvero tutti, compresi coloro che mangiano quel che trovano, c’è da sempre un signore che ha creato un movimento, che è anche una filosofia, presente oggi in molti posti del mondo, in molti luoghi d’eccellenza enogastronomica, in molte pubbliche manifestazioni. Si chiama Carlo Petrini ma per molti è solo Carlin e il valore del suo impegno che dura da 30 anni, recentemente, è arrivato in Svizzera in occasione di un suo discorso sui temi a lui cari: i sapori genuini, il ricupero del gusto che solo una corretta filiera agroalimentare può consentire, il ruolo dei contadini e delle multinazionali.
Un cibo sano, “buono, pulito e giusto” come lo aveva definito lo stesso Carlo Petrini in un libro edito da Einaudi nel 2005 dal titolo “Principi per una nuova gastronomia” non può confondersi con un cibo che arriva senza tracciabilità, filiera, garanzia di genuinità dacché prodotto dalle multinazionali che hanno globalizzato anche qualsiasi tipo di genere alimentare. Obiettivi sostenuti, anche questa volta, da Carlo Petrini lo scorso 19 aprile davanti alle telecamere della televisione svizzera, in occasione di un incontro che aveva tenuto il giorno prima, con tutto il valore di un percorso durato anni trasformatosi in impegno umano e civile, culturale ed associativo.
Dalla genuinità dei sapori del passato all’etica antispreco, dalla capacità di farsi nuova coscienza enogastronomica al valore della biodiversità: attorno a questi e ad altri aspetti il fondatore di Slow Food ha tenuto una conferenza all’Università della Svizzera italiana. Dai supermercati ai ristoranti gourmet, dagli chef stellati alle cucine delle nostre madri, dalle mense scolastiche ai luoghi privilegiati dalla mondanità enogastronomica, l’imperativo non sarà più “mangiare ciò che troviamo” ma “chiedere ciò che scegliamo”. Una scelta sempre più consapevole che rifiuta il cibo globale in cambio di una tracciabilità che si fa territorio, sapere, racconto e che anche quando percorre chilometri prima di arrivare sulle nostre tavole deve garantire con certezza le informazioni più importanti: da dove è arrivato, come è stato prodotto e chi ha prodotto quel cibo che diventa ingrediente.
“I cittadini – afferma Petrini – che incominciano a capire e a rivendicare delle scelte proprie, individuali, sia sul fronte della volontà di essere più informati, quindi tracciabilità, maggiore conoscenza della produzione e dei sistemi di produzione e della coscienza di che cosa mangiano, stanno diventando sempre di più e lo stanno facendo in maniera sempre più forte. Questo è uno dei tasselli determinanti per influenzare la produzione. Questa è la vera novità“.
Nato a Bra nel 1949, figlio di un di un’ortolana e di un ferroviere, Carlo Petrini sceglie gli studi di sociologia all’Università di Trento. Nel 1977 inizia ad occuparsi di enogastronomia scrivendo sui principali periodici e giornali italiani. In quegli stessi anni partecipa anche alla nascita del Gambero Rosso con Stefano Bonilli. Mente eclettiva, visionario ed arguto Carlo Petrini fonda la “Libera e Benemerita Associazione degli Amici del Barolo”, che nel luglio 1986 prenderà il nome di Arcigola. È stato l’ideatore di importanti manifestazioni come Cheese, il Salone del Gusto di Torino e la manifestazione internazionale che chiama Terra Madre. Ma la grande intuizione arriva il 9 dicembre del 1989 quando a Bra viene fondato il Movimento Internazionale Slow Food. Un Movimento che Carlo Petrini ha così raccontato davanti alle telecamere.
In prima linea nella battaglia con gli OGM, Carlo Petrini ha dovuto non poco volte dissentire da chi, nel mondo scientifico, ha invece rivendicati la necessità di poter preservare, modificando geneticamente, produzioni e colture per preservare la fatica, il gusto, l’aspetto di ciò che portiamo a tavola. Nel 2008 Carlo Petrini venne persino indicato dal quotidiano inglese Guardian come tra le 50 persone che potrebbero salvare il pianeta.
Intanto, se, come tra i suoi auspici, essendo il consumatore non più passivo (compra ciò che trova) ma attivo (chiede ciò che vuole), il futuro del cibo sarà nelle mani dei contadini o, al contrario, sempre di più nelle mani delle multinazionali, sempre più potenti, è cosa ancora difficile a dirsi. Ciò che da qui già si vede e che fà ben sperare è una sempre più crescente attenzione verso ciò che mangiamo: i contadini se ne sono accorti e si stanno, per fortuna, riorganizzando.