Roberto Petza racconta il fascino della Sardegna nei suoi piatti

“S’Apposentu” in sardo vuol dire “stanza” e prende la sua derivazione dalla lingua spagnola che traduce “aposento” in “stanza importante”. Qualcuno ci vede anche il tentativo di tradurlo in “salotto buono”. Tuttavia, per capire davvero che cosa è “S’Apposentu” in Sardegna occorre conoscere Roberto Petza che quel nome lo ha riportato nella identità di un ristorante che si è già fatto notare ed apprezzare da molti arrivati fino a lì. Lo chef, o cuoco come lui ama definirsi, Roberto Petza è nel gruppo di grandichef.com accolto con soddisfazione e grande piacere da tutta la redazione del nostro format/progetto. Racconterà per noi l’Italia enogastronomica che vive e fa parlare di sé con i sapori di un’isola che pure ha decine di bellezze naturali, un mare cristallino, profumi di spezie e di giardini e gusti inconfondibili che finiscono dritti nella cucina dello chef stellato Roberto Petza.

“La storia di Roberto Petza – scrive Gianluca Biscaschin così come riportato sul portale di “S’Apposentu”  – è quella di un sardo autentico. Ma non convenzionale. Nasce nel cuore antico dell’isola, nel 1968 a San Gavino Monreale, nel Campidano. Si diploma all’Istituto alberghiero di Alghero e capisce subito che è necessario lasciare la propria terra per poi ritrovarla. Gira, viaggia, in Italia e all’estero. Aggiorna le tecniche, impara l’arte della ristorazione. Poi torna nel suo paese nel 1998 e decide di mettere le mani, ormai esperte, nel territorio. Apre S’Apposentu. Anche se il luogo sembra remoto, il talento di Petza si impone. Il mondo dei gourmet si accorge di Roberto. Nel 2002 apre S’Apposentu a Cagliari, al Teatro Lirico. L’idea di cucina fatta di antichi sapori e nuove prospettive, è un successo. Contribuisce così a restituire alla Sardegna la sua grande dignità gastronomica soffocata spesso da un cibo banalizzato per i turisti. Guide, giornalisti, appassionati, in Italia e fuori, si esaltano. Arriva il riconoscimento della stella Michelin. Ma lo chef non si ferma. Nel 2010 sposta il ristorante a Siddi, nel cuore della Marmilla. Qui sperimenta una formula che mette il ristorante al centro di una rete che coinvolge contadini, allevatori, artigiani in connessione con l’Accademia per la formazione dei Petza di domani.”

A cinquant’anni, che arrivano puntuali quest’anno, Roberto Petza pianifica nuovi traguardi. Deve onorare e difendere i riconoscimenti importanti arrivati in questi anni. E non vuole assolutamente perdere il contatto con il territorio. Anzi. Lo esalta. Cerca di organizzare, e ci riesce, contadini e produzioni, piatti e racconti: il sapore di un’isola che custodisce proprio in cucina antiche memorie. Gli chiesero “Petza, è vero che ci siamo disabituati al gusto originale dei cibi che portiamo in tavola?” Rispose: “Purtroppo è vero, l’industria alimentare ha standardizzato i nostri gusti. Tutto quello che viene dall’industria è realizzato unicamente per esser buono. Se, però, ci si ferma ad esaminare il processo produttivo e gli ingredienti, ci si rende conto che la favola che viene raccontata non ha nulla di veritiero. E, a testimoniare il tutto, c’è il fatto che se un bambino o un adulto assaggia qualcosa realizzato con prodotti “veri” è disorientato perché nel suo e nel nostro database non esiste più il ricordo di quel gusto. Ma non si tratta solo dei prodotti industriali. Prendiamo il discorso dei semi: tutte le verdure che mangiamo sono frutto di semenze modificate che non attribuiscono al frutto o al vegetale il suo vero sapore. Pensiamo alle carote che una volta erano nere, viola, rosse e gialle non per un gioco ma per la loro natura: magari non erano così dolci e saporite ma terrose e dure, meno croccanti. Ora non riusciresti a riconoscere quel gusto. Lo stesso vale per la carne: chi assaggia un pezzo di maiale allevato a terra, come da tradizione, si accorgerà del diverso sapore e della differente consistenza della carne che, se proveniente da un animale allevato all’aperto, ha una muscolatura diversa da quella dell’animale che non si è mosso perché tenuto in gabbia.”

Si chiama “Mattonella di carciofi con prosciutto di casa e crema di pecorino” uno dei tanti piatti che meglio traducono la passione di Roberto Petza per il suo territorio.

Nel 2010 Roberto Petza decise di portare il suo S’Apposentu in una villa dallo stile liberty costruita nei primi del Novecento in un posto della Sardegna che si chiama Siddi che è anche il cuore della Marmilla, vaste colline tondeggianti, somiglianti verosimilmente a mammelle. L’altra ipotesi è che Marmilla si sia chiamiata così per  la presenza di molte paludi nella zona, un paesaggio che poteva apparire punteggiato da “mille mari” da cui Marmilla. Il sardo sembra avere sempre mille misteri ma rimane lingua viva, un codice non semplice che gli isolani declinano a menadito. A Siddi Roberto Petza esalta il valore e la produzuone di un pastificio artigianale storico. Casa Puddu, oltre al ristorante, annoverava così anche l’Accademia di Cucina da lui diretta.  In Sardegna permane intanto il mito della longevità e si fa strada persino l’idea che qualcosa dipenda dal cibo e dalla cucina dei sardi. Così chiesero allo chef Petza qualche collegamento tra longevità e cucina si possa fare. Rispose: “Non ricondurrei tutto alla dieta. I centenari mangiano poco e in maniera equilibrata, senza eccessi, scegliendo cose diverse. Non solo la carne che, anzi, viene limitata, ma tanti legumi e vegetali. Il tutto, ovviamente, segue il ciclo delle stagioni: ogni cibo ha il suo mese, non mi stancherò di ripeterlo. C’è poi un altro fattore, quello relativo allo stress. Non c’è un segreto per vivere a lungo ma certamente una delle chiavi del viver sani è l’ambiente che ci circonda e il modo in cui si trascorre la propria esistenza. Non si può affermare: fai una dieta e campi cento anni!  Quello che dico sempre è: guardiamo a quanto ci possono insegnare i centenari nella loro totalità, dalla vita di tutti i giorni alla loro alimentazione, non fermiamoci solo a un aspetto.”

Il ricupero delle tradizioni enogastronomiche sarde era uno degli obiettivi dello chef Roberto Petza. Il cammino, iniziato da pochi anni, ha ancora molte tappe. Non per caso, quando gli hanno chiesto se si fosse recuperato almeno in parte il significato che la cultura del cibo in Sardegna è riuscito a custodire, il cuoco di San Gavino Monreale non ha esitato: “La Sardegna oggi è una delle regioni che si è dimenticata di più delle sue tradizioni. Stiamo perdendo tutto quello che è il nostro patrimonio gastronomico. In molti ristoranti ci si nasconde sotto la denominazione di “tipico” ma praticano una cucina di comodo dove non si prepara nemmeno uno dei nostri piatti tipici secondo tradizione. Io ogni giorno percorro in media 120 km per fare la spesa e rifornirmi direttamente dai produttori, scegliendo le loro tipicità e proponendole ai miei ospiti nel rispetto della tradizione. Serve una rinnovata attenzione nei confronti del cliente, bisogna credere in un’etica della tipicità e la Sardegna potrebbe davvero essere un’isola felice. Certo, se pensiamo che il 95% delle strutture ricettive non compra prodotti sardi e che il 65% dei nostri campi coltivabili sono incolti lo scenario che si prospetta non è dei migliori.” Ma Roberto Petza è ostinato e determinato. Passa dalle sue parti l’idea che la sfida, per quanto ardua, possa riuscire. Noi lo sosterremo e racconteremo tutti i dettagli di un percorso enogastronomico, lo spirito e l’anima di un cuoco stellato che ha raccolto già importanti ed utili risultati.

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